La Coscienza.
Il concetto di coscienza, nella Psicologia Analitica è legato al concetto stesso di Io, infatti è “ la relazione dei contenuti psichici con l'Io […] nella misura in cui tale relazione viene percepita dall'Io” (Jung, cit. Von Franz in “Il mondo dei sogni”, p.30). Più in particolare come sostiene Jung: “Per Io intendo un complesso di rappresentazioni che per me costituisce il centro del campo della mia coscienza e che mi sembra possedere un alto grado di continuità e di identità con sé stesso. Perciò parlo anche di un complesso dell'Io” (Jung, “Tipi Psicologici”, 1921, p.467).
Per la Von Franz, i complessi in generale sono i motori della nostra Psiche, in “Il mondo dei Sogni” indica che: “ I complessi sono semplicemente i motori della Psiche. Agiscono come centri nucleari diversi che forniscono energia, impulso e vitalità alla psiche. Senza complessi saremmo morti” (Von Franz, “Il Mondo dei Sogni”, p.31). Il concetto di Io legato ad una rappresentazione che costituisce il centro del campo della coscienza, porta ad una definizione della totalità Psichica che è indicata con il Sé. Infatti: “Distinguo quindi fra l'Io e il Sé, in quanto l'Io è solo il soggetto della mia coscienza, mentre il Sé è il soggetto della mia Psiche totale, quindi anche di quella inconscia. In questo senso il Sé sarebbe un'entità (ideale) che include l'Io” (Id. p.467) come sostiene Jolande Jacobi: “Tutta la nostra esperienza del mondo interno ed esterno deve passare attraverso il nostro Io per poter essere percepita. Poiché i rapporti di contenuti con l'Io, in quanto non sono sentiti dall'Io come tali, sono inconsci. […] la nostra coscienza non può contenere contemporaneamente che pochissimi contenuti [...]” (Jacobi, “La Psicologia di C.G.Jung”, pp.19-20). La coscienza quindi si pone come un contenitore di percezioni, pensieri, sentimenti, intuizioni, e processi. Nell'opera, Volume 8, Jung, ne descrive i contenuti: “La percezione sensoriale ci dice che qualcosa è. Ma non ci dice che cosa è. Questo non ce lo dice il processo percettivo ma il processo appercettivo, che è una funzione assai complessa. […]” (Jung, “Opere Vol. 8”, p.160). Questi primi due contenuti, ci fanno capire come una percezione, ad esempio un rumore, genera in noi un processo appercettivo che ci porta infine ad un riconoscimento di un oggetto, di una situazione, ecc., “Questo riconoscimento origina da un processo che è detto pensiero. Il pensiero ci dice che cosa è qualche cosa” (id. p.160). Questo riconoscimento, porterà di conseguenza un altro aspetto fondamentale, ovvero sarà associato ad una reazione emotiva, quindi ad un tono affettivo. “Il tono affettivo implica una valutazione”. […] “In questa maniera un oggetto ci appare gradevole, desiderabile, bello, oppure brutto, cattivo, riprovevole ecc.. Il linguaggio usuale definisce questo processo sentimento” (id. p.160). Interessante notare come le funzioni di Pensiero e Sentimento sono descritte come funzioni razionali, esattamente come già descritte nell'opera sui “Tipi Psicologici” del 1921. Un'altro aspetto legato ai “Tipi Psicologici” è certamente l'intuizione, che rappresenta la percezione delle possibilità in una determinata situazione. Essa si presenta quindi come una delle funzioni irrazionali, infatti: “L'intuizione non è né una sensazione, né un pensiero, né un sentimento, […]. Secondo il temperamento individuale l'uno chiamerà la sua intuizione vedere, ne farà quindi una sensazione. L'altro la definirà pensare […]. Il terzo, infine, sotto l'impressione del suo stato emotivo, chiamerà l'intuizione sentimento. L'intuizione è però, secondo la mia concezione, una funzione fondamentale della psiche, cioè la percezione delle possibilità contenute in una situazione” (Jung, “Tipi Psicologici”, p.161).
Gli altri contenuti della coscienza sono definiti processi, divisi in volitivi, ovvero impulsi dotati di una direzione la cui natura è affidata al libero arbitrio, processi istintivi, ovvero impulsi che possono nascere dall'inconscio e dal corpo. Jung scriveva: “Come ulteriori contenuti della coscienza si possono distinguere i processi volitivi e i processi istintivi. Quelli sono definiti come impulsi dotati di una direzione, derivanti da processi appercettivi, la cui natura è affidata a un cosiddetto libero arbitrio. Questi sono impulsi che sorgono dall'inconscio o direttamente dal corpo, col carattere della non libertà e dell'obbligatorietà” (id. p.161) Altri contenuti poi, sono i processi appercettivi non indirizzati, ovvero fantasticherie e sogni. Infatti l'autore scriveva: “I processi appercettivi possono essere indirizzati o non indirizzati. Nel primo caso parliamo di attenzione, nel secondo caso di fantasticherie e “sogni”. Gli uni sono razionali, gli altri irrazionali. A questi ultimi appartiene, come settima categoria dei contenuti coscienti, il sogno. Esso somiglia sotto un certo aspetto alle fantasie coscienti, in quanto ha carattere irrazionale e non indirizzato. Ma se ne distingue perché, nelle sue cause, nelle sue vie e nei suoi intenti, riesce dapprima oscuro al nostro intelletto. Ma gli riconosco la dignità di categoria di contenuto di coscienza, perché è la più chiara e più importante risultante di processi psichici inconsci che affiori nella coscienza” (id. p.161). In questo passaggio appare chiaro come Jung considera il sogno come un ponte evidente tra coscienza e parti inconsce. Il suo manifestarsi nella coscienza ma sotto gli impulsi dell'inconscio lo rende lo strumento principe per l'analisi dei processi inconsci. A pag 162, Jung critica l'atteggiamento di quegli orientamenti che vorrebbero limitare la psiche alla coscienza e cita vari casi clinici contro questo atteggiamento.
Un altro aspetto fondamentale, prima citato, è quello delle funzioni della coscienza, che necessariamente si citeranno, senza il necessario approfondimento. Nella Psicologia attuale esistono molti modelli della mente, essi spesso sono derivati da una osservazione dei comportamenti e da una inferenza su cosa avviene all'interno della mente. La stessa Psicanalisi Freudiana ipotizza un apparato psichico dinamico dominato da pulsioni ed energia libidica mediata da istanze topiche e meccanismi di difesa dell'Io. La Psichiatria ha codificato, manualizzandoli, i sintomi, creando testi di semeiotica con la pretesa di spiegare tutti i comportamenti umani in chiave medico/eziologica, in modo da catalogarli in modalità nosografica, statistica e, “teoricamente ateoretica”, così come nel DSM 5, nell'ICD 10 e precedenti manuali statistici. Sia nell'approccio Psicologico Cognitivo Comportamentale che Psicoanalitico Freudiano che Psichiatrico, lo sforzo è quello di creare un modello della mente che possa spiegare un funzionamento “meccanico”, così da creare un sistema riconoscibile e “riparabile”, nell'idea di poterlo utilizzare sul paziente per scopi medici. I costrutti di temperamento, carattere e personalità guidano molti modelli di conoscenza scientifica del soggetto, descrivendo i comportamenti, credenze ed idee di riferimento in chiave evolutiva ed adattiva ma non prendono in minima considerazione la realtà “soggettivamente oggettiva” del paziente stesso.
Il sistema Junghiano si presenta in maniera del tutto differente, infatti, come scrive Daniele Ribola nella prefazione del testo “Tipologia Psicologica” di Marie Lousie Von Franz, “ […] Carl Gustav Jung si occupa non del cosa avviene nella psiche, ma di come avviene; non si occupa dei contenuti della psiche, ma di come essi si muovono, ossia dell'orientamento generale dell'energia psichica” (Von Franz, “Tipologia Psicologica”, p. 10). Questo modello, estremamente rispettoso dell'unicità dell'individuo, si colloca come chiave per la comprensione del punto di vista del paziente e di guida verso l'evoluzione dello stesso. Il primo aspetto da considerare è quello dell'atteggiamento, ovvero: “ […] il modo di reagire dell'uomo a ciò che gli si presenta di fuori o di dentro. Jung distingue due atteggiamenti: l'estroversione e l'introversione” (Jacobi, “La psicologia di C.G. Jung”, p. 32). “Nell'estroverso la libido cosciente fluisce abitualmente verso l'oggetto, accompagnata però da una segreta contro-azione inconscia diretta verso il soggetto. Nel caso dell'introverso accade l'opposto: egli ha l'impressione di essere perennemente oppresso dall'oggetto, dal quale deve continuamente ritirarsi; tutto gli casca addosso ed è costantemente sopraffatto dalle impressioni, ma non è consapevole di attingere segretamente energia psichica dall'oggetto e di farla rifluire nell'oggetto stesso, attraverso il suo processo inconscio di estroversione” (Von Franz, “Tipologia psicologica”, p. 17). Nel modello Junghiano esistono quattro funzioni della coscienza, due razionali, pensiero e sentimento e due irrazionali, sensazione e intuizione, che combinate con l'atteggiamento portano a otto differenti Tipi psicologici. Una interessante domanda viene posta dalla Von Franz (id. p.18), perché quattro funzioni e non di più o di meno? Questo aspetto, all'inizio solo intuito da Jung, sarà poi esplorato dallo stesso autore nel simbolismo delle religioni e lo portò a lunghe ricerche sulla ragione delle rappresentazioni con il numero quattro e tre. Non si approfondirà oltre l'aspetto della tipologia psicologica, al quale dovrà essere dedicato uno spazio che, in questo contesto, rischia di allargare troppo il tema.
L'nconscio Personale
Freud fu il primo a parlare esplicitamente di inconscio, intendendolo come unico, come un contenitore sede di contenuti rimossi e pulsioni. In “Psicopatologia della vita quotidiana” (1901) l'autore porta osservazioni circa gli eventi che possono far inferire all'esistenza di un inconscio. Da questa e successive trattazioni, si delinea un inconscio Freudiano come sede di contenuti rimossi, inaccettabili alla coscienza, e qui nascosti. Come riportato nella prefazione al testo fatta da Claudio Modigliani nell'edizione del 2004: “Attraverso l'interpretazione dei lapsus nelle loro varie modalità di verificarsi, […] Freud ci guida nell'inconscio e ce ne mostra livelli e processi dinamici”(Freud, “Psicopatologia della vita quotidiana”, p.7).Jung, partendo dall'esperimento delle libere associazioni nel 1906, crea un'idea di inconscio differente, una vera e propria psiche inconscia: “Per me non v'ha dubbio che tutte le attività che abitualmente hanno luogo nella coscienza possono svolgersi anche nell'inconscio” (Jung, “Opere, Vol. 8”, p.163). Con riferimento al capitolo precedente, ciò che non è sentito dall'Io è non conosciuto, pertanto è inconscio. Jung giunge così a teorizzare l'esistenza dell'Inconscio Personale come una sede che contiene sì, contenuti rimossi, ma anche molto altro materiale che non raggiunge la coscienza. Nel testo “L'Io e l'inconscio” (1916) Jung muove già dal primo capitolo verso una differenziazione ed un arricchimento rispetto al modello Freudiano, intitolando il capitolo “Inconscio personale e inconscio collettivo” (Jung, “Opere Vol. 7”, p.127). “Come è noto, secondo la concezione di Freud i contenuti dell'inconscio si limitano a tendenze infantili, che a causa del loro carattere incompatibile vengono rimosse. […] Secondo questa teoria, l'inconscio conterebbe, per così dire, solo quelle parti della personalità che potrebbero benissimo essere coscienti e sono represse solo dall'educazione. […] L'inconscio ha anche un altro lato: nel suo ambito bisogna comprendere non solo i contenuti rimossi, ma anche tutto quel materiale psichico che non raggiunge la soglia della coscienza. […] Noi pertanto rileviamo che nell'inconscio, oltre al materiale rimosso, si trova tutto il materiale psichico divenuto subliminale, comprese le percezioni sensoriali subliminali” (id. p.127). In un passaggio successivo Jung collega l'attiv ità inconscia con la psicopatologia, in particolare scrive:“Abbiamo parimenti motivo di sospettare che l'inconscio non sia affatto in quiete e inattivo, ma sia continuamente occupato ad associare e dissociare i suoi contenuti. Solo in casi patologici questa attività sarebbe da considerare come assolutamente indipendente: in condizioni normali essa è coordinata alla coscienza nel senso di una relazione compensatrice” (id. p.127). In “Psicologia dell'Inconscio” , nel capitolo “La 'persona' come frammento della psiche collettiva”, Jung differenzia definitivamente l'inconscio in Personale e Collettivo. Il primo come contenitore di contenuti personali “ […] che sono stati rimossi, ma sono suscettibili di ritornare a essere coscienti”. Il secondo come bacino che contiene “ […] strati più profondi dell'inconscio, che ho definito inconscio impersonale, [...]” Esso “[...] determina una dilatazione della personalità che porta alla condizione di 'somiglianza con Dio' ” (Jung, “Psicologia dell'Inconscio”, p.115).
L'nconscio Collettivo.
Questo aspetto, uno dei più discussi ai tempi, oggi patrimonio culturale dell'umanità, è una caratterizzazione della Psicologia Analitica. Nel testo ”Ricordi, sogni, riflessioni” della Jaffè, viene riportato un sogno di Jung in cui esplorando casa sua scende nei sotterranei fino a trovare resti di vestigia romane e poi sempre giù una caverna primitiva con reperti e teschi umani. “Col pianterreno cominciava l’inconscio vero e proprio. Quanto più scendevo in basso, tanto più diveniva estraneo e oscuro. Nella caverna avevo scoperto i resti di una primitiva civiltà, cioè il mondo dell’uomo primitivo in me stesso, un mondo che solo a stento può essere illuminato dalla coscienza […]. Il mio sogno pertanto rappresentava una specie didiagramma di struttura della psiche umana […]. Il sogno divenne per me un’immagine guida..fu la mia prima intuizione dell’esistenza, nella psiche personale, di un “a priori” collettivo..” (Jaffè, ”Ricordi, sogni, riflessioni” 1961, Rizzoli pag. 187-188). Questo sogno “rivela” a Jung la struttura della psiche e ipotizza che oltre alla coscienza e all'inconscio personale esista un livello più profondo, un bacino inconscio universale che racchiude la storia psichica del genere umano. Questo livello inconscio viene denominato pertanto inconscio collettivo, esso è: “[...] la poderosa massa ereditaria spirituale dello sviluppo umano che rinasce in ogni struttura cerebrale individuale. […] L'inconscio collettivo – se possiamo permetterci un giudizio in proposito – sembra consistere di motivi e immagini mitologici, e perciò i miti dei popoli sono gli autentici esponenti dell'inconscio collettivo. Tutta la mitologia sarebbe una specie di proiezione dell'inconscio collettivo. […] L'inconscio contiene la sorgente delle forze motrici spirituali e le forme e categorie che le regolano, cioè gli archetipi. Specialmente chiaro è nelle idee religiose. Ma neppure i concetti centrali della scienza, della filosofia e della morale fanno eccezione” (Jung, “Opere Vol.8”, pp. 170-176). Sempre Jung, in “La psicologia dell'inconscio” dichiarava: “Ho scoperto il tesoro sotterraneo da cui l'umanità ha sempre attinto per creare, da cui ha tratto i suoi dèi e i suoi demoni e tutte quelle idee, le più vigorose e poderose, senza le quali l'uomo cessa di essere tale” (Jung, “La psicologia dell'inconscio”, p.61). In sintesi la coscienza, l'inconscio personale e l'inconscio collettivo sono tre istanze in stretto rapporto, infatti Jung concludeva:“[…] la funzione della coscienza non è soltanto quella di accogliere e riconoscere il mondo esterno attraverso la porta dei sensi, ma anche quella di tradurre il mondo interiore all'esterno sotto forma creativa” (Jung, “Opere Vol. 8”, p.176).
Conclusioni
Il modello Junghiano si presenta come un modello estremamente ricco e flessibile, infatti è l'unico modello dell'uomo che può spiegarne tutte le manifestazioni, religiose, artistiche, mitologiche, patologiche, relazionali, ecc.. In una società fortemente estrovertita come quella occidentale attuale, questa visione dell'uomo risulta senz'altro difficile nella massa delle persone e risulta oltretutto pericolosa, perché mina in profondità concetti di base delle strutture del potere costituito e dell'economia di mercato. Per una società dei consumi, risulta necessario mantenere individui non individuati, più essi funzionano in maniera scissa, più proiettano contenuti psichici, più sono controllabili. Il mantenimento della scissione individuale, la non integrazione dell'ombra consente proiezioni di massa su “il nemico” di turno, e consente l'unità di istituzioni, partiti, associazioni, movimenti, squadre, stati, ecc.. Il mantenimento degli individui in una condizione di dominio incontrastato della coscienza e negazione dell'inconscio consente la strumentalizzazione delle masse grazie all'evocazione collettiva di strutture archetipiche. Il secolo scorso è stato caratterizzato da queste invasioni psichiche collettive, figure archetipiche come quella di Wotan si sono manifestate e hanno causato milioni di morti e distruzione. Anche nell'attualità, sembra che Wotan si stia riaffacciando ad est. Il cammino individuativo collettivo può essere la solo garanzia per immunizzare il genere umano dagli orrori/errori della storia. Accettare ed integrare tuttoquello che è presente nella razza umana, il bene assoluto e il male assoluto, la coscienza e l'inconscio, la persona e l'ombra, sono la sola garanzia di un futuro migliore. Come scriveva Jung in “La psicologia dell'inconscio”: “Si è rimproverato alla psicoanalisi di liberare (per fortuna!) gli impulsi animaleschi rimossi dell'uomo, potendo così arrecare un danno imprevedibile. […] E' vero che l'analisi libera gli istinti animaleschi, ma non, come interpretano alcuni, per abbandonarli direttamente su un'attività sfrenata, ma perché trovino un'utilizzazione più alta, […] In ogni caso è sempre un vantaggio essere in pieno possesso della propria personalità, altrimenti le parti rimosse della personalità ostacolano altre sue componenti, e non quelle insignificanti, bensì proprio quelle più sensibili. Se però gli esseri umani vengono educati a considerare le bassezze della propria natura, c'è da sperare che in questo modo imparino ad amare e comprendere meglio anche i loro simili.” (Jung, “La psicologia dell'inconscio”, p.33). Questo aspetto, rapportato al collettivo, mi porta ad una visione utopica, ma credo ad un obbiettivo si debba mirare! Così come l'individuazione del singolo è un processo in divenire non necessariamente, anzi quasi mai raggiunto completamente, l'obbiettivo della diffusione delle idee Junghiane potrebbe essere lo strumento principe per una svolta epocale nel pensiero della società occidentale, oggi attanagliata da una crisi, che prima che economica è strutturale. Questa breve relazione sulla coscienza, inconscio personale e collettivo mi ha molto colpito, sia per i concetti, che per quanto noti, appaiono nella loro pulita potenza teorica sia per l'occasione di approcciarsi a Jung in maniera selettiva. Mi sono reso conto, mentre scrivevo, di come mi è difficile “sezionare” il pensiero Junghiano. Ad ogni frase corrispondespesso un'apertura, un'idea, un collegamento alla propria esperienza personale, alla realtà. Il sistema Junghiano può spiegare tutte le manifestazioni umane se preso nella sua totalità e questo, non ha fatto altro che aumentare, come se ce ne fosse stato bisogno, la mia fame di conoscenza. Una delle tante eredità lasciate da Jung è certamente quella di averci consegnato un sistema aperto, non dogmatico, come se avesse voluto tracciare l'inizio di un sentiero, lasciando ogni persona libera di percorrerlo. In questo pensiero, tratto da “Il mito di Jung” della Von Franz del 1972, si evince la grandezza di questo uomo: “Non ho avanzato né un sistema né una teoria generale, ma soltanto formulato concetti ausiliari che mi servono da strumenti […] poiché non sono mai stato incline a credere che i nostri sensi fossero capaci di afferrare tutte le forme dell'esistenza […] Sia l'atto della comprensione che il suo contenuto sono in sé psichici, e pertanto noi siamo inesorabilmente chiusi in un universo esclusivamente psichico. Perciò non può mai esistere una verità valida per tutti, bensì solo un'espressione vera di dati psichici comunicabili anche agli altri, qualora si basino su principi comuni all'umanità” ( Von Franz, “Il mito di Jung”, pp.14-15).
A mio monito, per la professione:
“Senza dubbio l'ignoranza non costituisce mai un titolo di raccomandazione, ma anche il più grande sapere spesso non basta. Lo psicoterapeuta non dovrebbe quindi lasciar passar giorno senza ricordare umilmente ch'egli ha ancora tutto da imparare” (C. G. Jung, 1946, p.260).
Bibliografia
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JACOBI J., (1976), “La psicologia di C.G. Jung”, Universale scientifica Boringhieri, Torino.
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JUNG C.G. (1969), “OPERE, Volume 6”, “TIPI PSICOLOGICI”, Bollati Boringhieri, Torino.
JUNG C.G. (1983), “OPERE, Volume 7”, “Due testi di psicologia analitica”, Bollati Boringhieri, Torino.
JUNG C.G. (1976), “OPERE, Volume 8”, “La dinamica dell'inconscio”, Bollati Boringhieri, Torino.
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JUNG C.G. (1917), “La psicologia dell'inconscio”, Grandi tascabili economici Newton, Roma.
VON FRANZ M.L., (1972), ”Il mito di Jung”, Bollati Boringhieri, Torino.
VON FRANZ M.L., (1981), “Tipologia Psicologica”, Edizioni Red, Lavis, TN.